L‘incidente di Casal Palocco, ha visto coinvolti da un lato un gruppo di “youtuber”, i TheBorderline, che al volante di una Lamborghini presa a noleggio stavano girando un video, e dall’altro una madre, alla guida di una Smart, e che è costato la vita al piccolo Manuel, uno dei due figli che viaggiavano con lei, suscita alcune riflessioni.
I ragazzi, che giravano il video da pubblicare su YouTube, fanno parte di una schiera di personaggi che usano internet per conquistare spettatori, chiamati follower, allo scopo di guadagnare con la pubblicità. Sono chiamati youtuber o, anche significativamente, influencer, proprio perchè in qualche modo fungono
da modello per i follower, che spesso sono giovanissimi e che li tengono in considerazione facendoli oggetto delle loro conversazioni.
In particolare, i TheBorderline conquistavano follower (ne avevano ben 600.000!) mettendo in rete sfide senza senso, ridicole e pericolose (come quella di rimanere a bordo di una Lamborghini noleggiata per 50 ore consecutive), e promettendo di renderle sempre più assurde se avessero ricevuto un certo numero di like.
Ciò che emerge da storie come questa, è la totale mancanza di senso del limite e della responsabilità delle azioni di questi giovani che, per un pugno di like, mettono in pericolo la loro e la vita degli altri, fino alle estreme conseguenze. Certamente sono assorbiti da un meccanismo perverso, in base al quale si fanno
soldi rapidamente, senza lavorare e, tutto sommato, senza neanche un vero e proprio talento artistico formato.
Alcune domande sorgono allora spontanee: dove sono i genitori di tutti questi ragazzi mentre lanciano sfide del genere?
A che tipo di senso della responsabilità li hanno educati? Magari, in precedenza, hanno banalizzato alcuni loro comportamenti, in violazione delle norme, etichettandoli come “ragazzate”.
I TheBorderline hanno dichiarato di voler fare intrattenimento e divertire chi li guarda. Ed evidentemente sono riusciti in questo intento, visto l’alto numero di follower. Sono allora questi gli intrattenimenti di tanti giovani che passano ore a guardare video sul cellulare? Il rischio è quello di essere sottoposti a modelli pericolosi, oltre che ad un completo ribaltamento dei valori. E ancora una volta c’è da chiedersi: i genitori, gli insegnanti, gli educatori in generale sono consapevoli
dell’uso che i ragazzi fanno di internet, oppure l’azione educativa si limita a certi ambiti, lasciando il mondo del digitale scoperto, come un porto franco dove non vigono le regole?
Siamo davvero in grado di insegnare ai più giovani che non sono i like a contare nella vita reale, nè l’apparire o il mostrarsi in modo ostentato alla ricerca di continue conferme, ma piuttosto i rapporti umani basati sull’autenticità del proprio essere se stessi?
Probabilmente l’unica sfida degna di nota in questa storia, non è quella assurda di ragazzi alla ricerca di like, ma quella, ben più importante, che riguarda gli adulti: la sfida educativa.
Scritto da Prof. Antonio Acquaviva, MCM