Riportiamo l’omelia di Sua Ecc.za Mons. Luigi Renna, Arcivescovo di Catania, durante la Celebrazione Eucaristica del XXV anniversario di consacrazione religiosa di Paola Serafini e Gabriella La Mendola, missionarie della FEMCM, il 30 dicembre 2024.
Carissime sorelle e fratelli in Cristo, carissimi fratelli e sorelle della comunità Chiesa-Mondo, alla vigilia del Giubileo della Speranza che abbiamo inaugurato ieri, si situa quest’oggi questo rendimento di grazie che ha anch’esso il sapore del giubileo: 25 anni. La vostra professione religiosa, carissime Gabriella e Paola, possiamo considerarla un giubileo della vita, perché ciò che conta è celebrare una vita che si è consacrata al Signore, il giubileo dell’Eccomi di Dio all’umanità e di due donne alla chiamata di Dio. Nei giubilei celebriamo sempre una duplice fedeltà, la fedeltà di Dio che continua a chiamare alla scuola del Figlio Suo e suscita carissimi e ministeri a servizio della Chiesa e del suo Regno.
Ci tengo a sottolineare: quando il Signore chiama, dimostra di essere fedele all’umanità, perché come potrebbe dimostrare la sua fedeltà se non attraverso il volto di uomini e donne che gli dicono di sì e diventano i suoi messaggeri. E poi voi, la famiglia Chiesa-Mondo, siete a servizio della Chiesa e del Regno di Dio di cui sappiamo la Chiesa è lievito. È la fedeltà di Dio quindi che si manifesta nella chiamata e quella dei chiamati che oggi hanno il vostro nome, Gabriella e Paola, che per venticinque anni sono stati fedeli a questa vocazione e ogni giorno rinnovano il loro eccomi.
Ogni giubileo, come quello del Popolo di Israele, come quello che la Chiesa genera, è memoria di un Dio che ci ha salvati e che ci chiede di fidarci ancora del suo progetto di salvezza. È bello che il Vangelo che viene proclamato oggi sottolinea tanti aspetti della nostra chiamata e della chiamata di voi, donne di ogni età. Cari fratelli presbiteri, cari uomini, oggi la parola di Dio esalta in modo particolare la figura di una donna che tante volte rimane quasi in ombra, soprattutto quando il giorno che celebriamo i Consacrati, il 2 febbraio, rileggiamo questo brano, però raramente ci fermiamo a parlare di Anna. Anna, questa profetessa che attende il Signore sulla soglia quando viene portato da Giuseppe e Maria per essere presentato 40 giorni dopo la sua nascita. Credo, cari fratelli e sorelle, che noi viviamo in un tempo della Chiesa straordinario, che si è scrollata di dosso tanti condizionamenti culturali che l’hanno portata ad essere piuttosto diffidente del ruolo della donna e, per comprendere alla luce del Vangelo il vostro ruolo, o meglio la vostra vocazione, perché il ruolo sa troppo di un posto da occupare, vocazione che sa di chiamata di Dio, la vocazione della donna nella storia della salvezza e della stessa comunità ecclesiale.
Anna. Anna non è né una vergine come Maria né un’amata, si dice semplicemente che è una profetessa ed è l’unica volta nei Vangeli che si parla di profetessa. Il Vangelo non ha paura di parlare di questa vocazione così radicale per il popolo di Israele al femminile, profetis: la profezia. Il parlare a nome di Dio e annunciare la sua salvezza che noi, soprattutto in questo tempo di avvento, abbiamo visto declinata soprattutto al maschile Isaia, Geremia, Michea, ora che il Cristo entra nel tempio fiorisce sulle labbra di una donna e non in una maniera episodica perché non si dice, come per Elisabetta, che fu piena di Spirito Santo e profetizzò in quel momento.
No, di Anna si dice che era una profetis, una profetessa. L’Evangelista la descrive con quella che nell’introduzione San Luca chiama la crimìa, cioè la precisione, dicendoci che è figlia di Fanuele ed è della tribù di Aser. E anche qui c’è tutto un significato perché i testi biblici sono una miniera, a volte a dei ragazzi sembrano così noiosi invece sono una cosa stupenda, come le grotte di Castellana della mia Puglia si entra e si scopre un mondo di bellezza. Fanuele significa il volto di Dio ed indica l’incontro di Giacobbe che al torrente lottò con Dio, lo vide, ma rimase indietro. Questa figlia di Fanuele vede il volto di Dio con le sembianze di un bambino.
E Aser, è il nome di uno degli ultimi figli di Giacobbe, significa: fortunato, quasi per dire che siamo vicini al compimento delle promesse di Dio. Anna è una donna che ha la gioia di vedere il volto di Dio colui che si è manifestato nella carne e nella pienezza divina. Ed è figlia di una tribù minore perché vive questa minorità, possiamo dire, della sua condizione.
È una donna anziana che sembra aver esaurito tutto quello che una persona può dare. Ha passato la sua vita di donna, povera, perché le donne di Israele vedove erano povere, veniva a mancare il loro sostegno particolare: il marito. Ella ha passato tutta la sua esistenza servendo Dio nel Tempio e, dice l’Evangelista Luca, che non si distacca dal luogo più santo e mi fa ricordare quella bellissima espressione del Salmo 83: “Anche il passero trova la casa e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore.” E mi fa pensare ai poveri che dormono sui sacrati delle chiese, sotto il colonnato di San Pietro anche nei giorni più freddi. Ecco, è una donna che, come un passero e una rondine, si è rifugiata nella casa di Dio.
Abita in un luogo la profetessa Anna, rimane in esso. E anche quel rimanere, non si discosta dal Tempio, ci fa ricordare le parole di Gesù che un giorno dirà agli Apostoli, nell’ultima cena: rimanete nel mio amore. Rimanere nel Tempio significa rimanere in quell’amore di Dio.
E poi ha 84 anni. E, l’Antico Testamento, come il Nuovo Testamento, è molto sensibile al tema dei numeri. C’è persino un’arte che si riferisce ai numeri e San Vena il Venerabile, questo autore anglosassone che è molto attento ai simboli, dice questo: 84 è sette volte dodici, sette per dodici.
Sette si riferisce al pieno corso di questo mondo che fu creato in sette giorni, dodici invece riguarda la completezza dell’insegnamento degli apostoli. Dunque, commenta bene il Venerabile: sia la Chiesa Universale o anche ciascuna anima fedele, voi, noi, che dedica l’intero corso della sua vita alle attività apostoliche e lo dà come se moltiplicasse sette per dodici e in senso etimologico servisse il Signore per 84 anni.
Ciascuno di noi serve il Signore per 84 anni, cioè in pienezza, quando lo serve ogni giorno e non solo la domenica quando va a Messa, e nell’insegnamento degli apostoli, cioè in questa comunione che è bella. Infine, è una donna che celebra il Dio e lo ringrazia perché in Cristo ha manifestato la sua salvezza e lo annuncia come colui che è venuto a portare la liberazione, la redenzione di Israele. Usa proprio questo termine giudicale, lei annuncia che è arrivata la liberazione, la liutrosis, la liutrosis erano gli scambi che si pagavano per liberare uno schiavo.
Care Paola e Gabriella, in Anna, la profetessa, voi vedete la ricchezza della vostra vocazione nel carisma della Missione Chiesa-Mondo. Nato nel tempo fecondo del Concilio Vaticano II e il cui carisma dovete mantenere sempre vivo perché tanto scetticismo a monte circonda il Concilio Vaticano II. Vivete la profezia al femminile, come la figlia di Fanuele, sapendo bene che in questo momento storico la Chiesa ha bisogno del vostro slaccio, del vostro pensiero, della vostra missione di donne.
E dire missione al femminile, dire teologia al femminile, dire servizio al femminile, non significa voler escludere il maschile, ma voler dire tutta la ricchezza che già troviamo lì, alle soglie del Tempio di cui il Signore prende possesso, perché ad attendere il Salvatore, non c’era solo un uomo Simeone, c’era anche una donna.
Vivete quel senso di ecclesialità che un padre della Chiesa ha visto come intrecciarsi nel numero degli anni di Anna, il tempo, ogni giorno, quel settenario, con l’insegnamento degli apostoli. Annunciate la liberazione in Cristo di ogni creatura, della donna soprattutto, verso la cui condizione non dovete mai non avere indifferenza, considerando come ancora una volta, nel mondo e anche nella nostra città, per lo spiacevole episodio che si è consumato agli archi della Marina, dove una domenicana è stata vittima di violenza, di due poveri come lei, ma violenti.
Di quante annunci di liberazione abbiamo bisogno? E di quante annunci di liberazione ha bisogno la donna? E voi che, non solo nella Missione Chiesa-Mondo, ma anche nel vostro servizio diocesano: nell’Apostolato biblico e nell’Ufficio Scuola con una particolare attenzione al contrasto alla dispersione scolastica, voi siete chiamati a vivere la vocazione di Anna.
Un’ultima parola voglio dire, sui 25 anni di professione religiosa, che vi colgono nell’età della maturità. Noi non siamo sempre giovani, noi non siamo sempre maturi, noi dobbiamo accettare tutte le età della vita perché, quando una persona non accetta l’età della propria vita, vive una schizofrenia anche spirituale.
Voi siete nella maturità. Inizia un tempo speciale, che ricordatelo, avrà altre età, la terza età, a cui ci si prepara se si vive bene la maturità. La giovinezza è caratterizzata dalla molteplicità di esperienze e si corre sempre il rischio di viverle separatamente.
È tipico dei giovani, fanno tante esperienze, le abbiamo fatte tutti. Ma la maturità deve essere caratterizzata dalla unificazione della nostra vita attorno ad un centro, attorno al Cristo che cresce in noi. Scrive un maestro spirituale contemporaneo: si cresce solo in una storia in cui il presente è riferito al passato ed è aperto ad un futuro di speranza.
Fate unità nella vostra vita, la vita personale, la vita comunitaria, i momenti di lavoro che voi vivete nella scuola ed è una grazia di Dio ed anche quelli di riposo, di salute e di malattia, tutti unificati in quello stabile dialogo nel tempio che per voi è la vostra vocazione, rendendo tutto a Dio come lei giorno e notte. Siate come devono essere le persone mature, vigilanti con le lampade accese e li ritrovino ogni giorno per l’eternità così, con il vostro olio e anche con quello di riserva, Cristo sposo, buon cammino.
(Trascrizione integrale della registrazione)