Chiesa e mondo

Catania: perché marciamo per la pace

Gennaio è tradizionalmente il mese della pace. Si apre con il messaggio del Papa, rivolto ogni anno a tutti gli uomini di buona volontà, e continua con varie iniziative.
Dopo la Marcia Nazionale per la Pace organizzata dalla CEI a Gorizia, che ha concluso il 2023, altre manifestazioni e marce per la pace si stanno svolgendo in questi giorni in varie città italiane.
Quest’anno, in particolare, l’esigenza di mobilitarsi è molto forte. Due anni di guerra in Ucraina e gli eventi scatenati in Palestina, a partire dal folle attentato di Hamas, per citare solo due delle guerre che stanno insanguinando il mondo, scuotono non poco le coscienze.

Significativa la marcia che il 5 gennaio si è svolta attraverso il centro storico di Catania, che, guidata dall’Arcivescovo e dall’Imam della città e partecipata da molti giovani studenti delle scuole medie e superiori, ha voluto testimoniare un messaggio di dialogo e collaborazione tra religioni nel segno del bene comune della pace, caro ad ogni fede autentica.
Tuttavia qualcuno potrebbe chiedersi: ma servono davvero queste marce? Cosa mai possono cambiare? Quale funzione possono assolvere?
Coloro che partecipano indubbiamente vogliono far sentire la propria voce, far sentire che una parte dell’opinione pubblica, forse maggioritaria, rifiuta la politica delle armi, desidera che i governi si facciano da intermediari tra i nemici, e, mettendo in atto ogni possibile strumento negoziale e diplomatico, conducano ad accordi che tengano conto degli interessi di ciascuno, ma guidati dall’obiettivo comune della giustizia e della pace che sono il bene supremo.  Tuttavia in queste manifestazioni c’è dell’altro: c’è la voglia di non rimanere passivi e inermi, anche quando si avverte un senso di impotenza, c’è la voglia di fare qualcosa di concreto, di attivarsi, di muoversi, non solo con la marcia, ma anche nella vita, di tendere con determinazione verso l’altro, per creare relazioni sempre più autentiche basate sul rispetto e la libertà, sull’accoglienza e sull’ascolto, perché la pace non è lo stato di quiete in assenza di guerra, ma è una postura, un atteggiamento di cura verso se stessi, verso l’altro, verso il creato. Chi partecipa alla marcia vuole mostrare a se stesso, prima che agli altri, che un altro modo di vivere le relazioni è possibile. Desidera essere fermento di questi sentimenti nella quotidianità delle relazioni, perché la pace si costruisce dal basso. Camminare insieme è educarsi vicendevolmente e acquisire la consapevolezza che non si è soli e che è possibile contagiare gli altri.
Se le marce della pace riescono in questo intento allora vale la pena farle, vale la pena di partecipare per far sentire forte il desiderio di pace.

Scritto da Prof. Antonio Acquaviva, MCM

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