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Ad ognuno, secondo le proprie capacità

Domenica 21 aprile presso il Seminario Interdiocesano di Catania, si è tenuto il ritiro spirituale della Famiglia Ecclesiale Missione Chiesa-Mondo.
“La Parabola dei Talenti” (Mt 25, 14-30) è stato il brano su cui hanno guidato la meditazione Rita e Salvo Pulvirenti, responsabili del ramo Collaboratori della FE, laici, madre e padre di famiglia, come ha sottolineato Lidia Curcio, responsabile generale, nel saluto iniziale.

Perché una parabola?
La parabola è un racconto di carattere religioso che è stato usato dai rabbini e dai maestri della legge. quasi tutti gli insegnamenti di Gesù furono espressi in parabole con un linguaggio semplice. Per mezzo delle parabole parla alle folle raccontando storie tratte dalla vita quotidiana per orientare, aprire alla visione della fede, scuotere i sentimenti più profondi e sollecitare alla conversione.

La Parabola dei Talenti
Questo brano, con il linguaggio moderno, potrebbe essere definito un brano motivazionale. Chissà quante volte siamo stati esortati ad usare i talenti ricevuti, a non sprecarli, a non nasconderli. Talvolta, abbiamo percepito quasi una sorta di pericolo: Dio ci chiederà conto del dono non impiegato. L’intento di Gesù nel raccontare questa parabola è quello di mettere in discussione il nostro modo di pensare, sollecitandoci ad essere intraprendenti nella vita e nella fede.
Questa parabola, all’interno del Vangelo di Matteo, si trova dopo la Parabola delle dieci vergini, che ci invita a vigilare perché non sappiamo quando verrà il Regno di Dio, e prima della parabola del giudizio universale che ci indica come prendere possesso del Regno di Dio, ovvero aiutando e accogliendo i piccoli e i poveri. Letta in questo modo, la parabola dei talenti insegna come far crescere il Regno nella nostra vita. Il testo ci mostra un uomo in procinto di partire che affida ai suoi servi i propri beni, creando così un rapporto d’amore nel quale non c’è più posto per la distinzione fra mio e tuo.

Cosa sono i talenti?
Il talento era un’antica misura di valore molto importante che oscillava tra i 26 e i 36 kg d’oro e corrispondeva a circa 6000 denari, a vent’anni di salario di un operaio del tempo. Per noi, sono il corredo dell’uomo nuovo, i doni dello Spirito: Fede, Speranza e Carità. Sono una responsabilità e sono una missione. Il talento è un dono che riceviamo non perché siamo più bravi degli altri o perché lo meritiamo, ma perché con la stessa gratuita e lo stesso amore lo possiamo mettere a servizio dell’intera comunità, per rendere felici noi stessi e gli altri.

“Servi buoni e fedeli”
I primi due servi sono l’esempio del collaboratore di Cristo. Ricevono talenti secondo le loro capacità, e nel tempo dell’assenza del padrone, ovvero il tempo della crescita, si mettono all’opera per farli fruttare. Essi hanno la consapevolezza che ciò che hanno ricevuto appartiene ad un altro, alla fiducia accordata hanno risposto con responsabilità e con impegno. Proprio la capacità di mettere a frutto quanto ricevuto fa sì che i servi diventino buoni. Al padrone non interessa il denaro in quanto tale. Ma la disponibilità a mettersi in gioco, infatti alla loro operosità corrisponde un ulteriore generosità incalcolabile perché entrambi hanno saputo vivere nella fede.

“Servo malvagio e pigro”
Il terzo servo appare pigro, ma in realtà ha paura. Percepisce il talento come una realtà estranea da nascondere, e ovviamente si sente con la coscienza a posto perché lo restituisce integro. Ha una immagine distorta del padrone “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso”, il quale sembra rispondergli “proprio perché hai questa immagine di me, quello che non hai fatto per amore, avresti dovuto farlo almeno per paura”. Il terzo servo si professa legalista a parole ma non con i fatti. Rifiutarsi di far fruttificare i talenti, prima ancora che tradire la fiducia accordata, significa condannarsi al vuoto esistenziale. Non c’è vita alcuna ma solamente un susseguirsi di giorni, uno scorrere del tempo così senza un domani. Preferiamo seppellire piuttosto che investire, seppelliamo nella terra della disistima di noi e degli altri, nei fossili del disimpegno e nelle buche del lamento. Chi è questo servo? Colui che non sente rivolto a sé l’annuncio della vicinanza del regno di Dio perché si ritiene giusti, tutti coloro che credono basti l’osservanza formale dei comandamenti senza giungere mai ad una sequela condivisa, quanti pensano che basti evitare il male. Più che sulle colpe commesse Dio ci giudicherà sul bene non compiuto. Il servo non ha avuto neanche il coraggio di depositare il talento in una banca.

Chi sono i banchieri?
Sono sia i fratelli e gli amici che ricevono da noi ciò che a nostra volta è stato partecipato, e che, attraverso il servizio a loro volta, mettono in circolo il dono. Ma sono anche i poveri, dando ai quali si fa il vero affare.

“A chiunque ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza”
Dio dà sempre di più a chi accetta di fidarsi di lui mentre toglie a quelli che non si fidano, chi si chiude in sé per paura di perdere il poco che ha, perderà anche il poco di cui dispone. La persona che non pensa a sé, ma si dà agli altri crescerà.

Salvo e Rita hanno consegnato tre domande per la riflessione individuale:

  • ho saputo ri-conoscere i miei talenti?
  • Quale paura mi immobilizza, tanto da sotterrare i talenti ricevuti?
  • All’interno della F.E. ho saputo mettere a frutto i talenti che mi sono stati affidati? In che modo? Se non lo ho ancora fatto, cosa me lo ha impedito?

Dopo la pausa, l’assemblea si è riunita nuovamente nel salone Sant’Agata per la condivisione.
Gli interventi sono stati molto numerosi, questo ha evidenziato come il tema e la riflessione siano stati apprezzati.

Ne riportiamo solo alcuni.
Chiara ha raccontato dei suoi alunni che in famiglia non sono aiutati a riconoscere il loro talento e che rischiano di “sfruttarlo” per fare il male. Sta a noi aiutarli a far emergere questo talento e ad indirizzarlo verso il bene. Paola ha evidenziato che i talenti devono essere duttili, devono poter essere plasmati dai bisogni e aperti alle critiche.

Gabriella ha condiviso la sua riflessione: quanto di quello che faccio dipende da me o è un dono di Dio? Andrea e Padre Angelo hanno usato l’immagine dei bicchieri, ognuno di noi è un bicchiere diverso, grande, medio, piccolo, ma ognuno viene colmato di talenti dal Padre fino al massimo della sua capacità.

Penso che l’intero ritiro spirituale possa essere sintetizzato in una frase di Rita: “tutto è possibile per chi crede, nulla si realizza per chi ha paura”.

La giornata si è conclusa con la Santa Messa presieduta da p. Giuseppe Carciotto e dall’agape fraterna.

P.s.: Salvo e Rita ci consigliano di leggere il decalogo dei Talenti di Fra Emiliano Antenucci.

Scritto da Ludovica Oliveri, MCM – Foto di Giovanni Rondine

 

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