L’otto e il nove giugno si svolgeranno le elezioni per il Parlamento Europeo.
Tradizionalmente si tratta di elezioni caratterizzate da una bassa affluenza di partecipazione e anche quest’anno non sembra che possa andare molto diversamente.
Le ragioni della poca partecipazione al voto europeo sono molteplici.
In primo luogo, non possiamo non riconoscere la quasi totale assenza, nel dibattito politico, dei temi europei: i partiti nazionali hanno, infatti, condotto una campagna elettorale su temi essenzialmente interni, lasciando gli elettori ignari dei loro programmi per l’Europa.
Un’altra causa è, poi, da rintracciarsi proprio nella natura dell’Unione Europea. I cittadini percepiscono lontane le istituzioni dell’UE e oscuri i relativi meccanismi di decisione, tanto da ritenere di non potere incidere sul processo legislativo. Effettivamente non si tratta solo di percezione, esiste un oggettivo deficit di democrazia nell’Unione, perchè la funzione legislativa, oltre ad essere svolta dal Parlamento europeo, che rappresenta il popolo, è detenuta anche da organi in cui è preponderante il ruolo dei singoli governi che rappresentano gli interessi nazionali e non gli interessi dell’Europa nel suo complesso.
Le ragioni, che abbiamo appena elencato, indubbiamente non sono favorevoli alla formazione di un’opinione di voto e non stimolano sufficientemente gli elettori a recarsi alle urne.
Ma se ci soffermiamo sull’importanza delle questioni che saranno oggetto delle politiche europee e su quanto da vicino ci riguarderanno, comprendiamo che è necessario sviluppare una coscienza di cittadinanza europea e cogliere l’opportunità del voto. Non possiamo, inoltre, trascurare che le future scelte riguarderanno un sistema di valori che ci coinvolge anche come cristiani.
Le future istituzioni europee, il cui volto sarà deciso anche a partire dal risultato di queste elezioni, dovranno occuparsi di economia. Decideranno nuovi vincoli di bilancio o manterranno quelli attuali che limitano la spesa pubblica, e dunque lo Stato sociale, ma non limitano la spesa per le armi? Continueranno a dettare regole volte ad armonizzare i mercati, senza uniformare le politiche fiscali, oppure opteranno per una politica fiscale comune che superi l’attuale concorrenza sleale tra gli Stati determinata da differenti regimi di tassazione?
Tra le materie di competenza dell’UE, centrale sarà la questione ambientale, decisiva per la salute del nostro pianeta. Si continuerà nella transizione energetica ed ecologica in corso o si tornerà indietro? In che modo si intende preservare le risorse per le generazioni future?
L’Unione Europea sarà chiamata inevitabilmente ad affrontare il tema dell’immigrazione. Quali scelte saranno effettuate? In direzione dell’accoglienza e della solidarietà tra gli Stati o in direzione di una chiusura dei confini e della creazione di una fortezza che respinge chi fugge da guerre e povertà ?
Poi c’è la grande materia dei diritti, oggi quanto mai attuale a causa dello sviluppo dell’intelligenza artificiale e dei suoi effetti sulla libertà e la privacy, un ambito che l’Unione Europea ha già normato positivamente ma che deve ancora ulteriormente essere tutelato.
Si discuterà di politica estera e di difesa, in un periodo in cui si sono riaccese le tensioni internazionali. Che Europa si delineerà ? Un’Europa in cui ogni Stato coltiva i propri interessi e dunque ognuno va in ordine sparso, oppure un’Europa che parla con un’unica voce e riprende il suo ruolo tradizionale di mediatrice di pace?
Queste e altre ancora sono questioni fondamentali che non possono essere decise al di sopra delle nostre teste, nell’indifferenza generale. E se nelle istituzioni europee c’è un deficit di democrazia, quest’ultima non si rafforza non andando a votare. Anzi è logicamente vero il contrario: un voto partecipato indicherebbe inequivocabilmente una richiesta di cambiamento dal basso, una volontà dei cittadini di contare, di essere determinanti nelle decisioni future.
Scritto da Prof. Antonio Acquaviva, MCM